Oggi è il tuo compleanno papà e, come da 10 anni a questa parte, lo ricordo senza soffiare sulle candeline con te. Quest’anno però, ho scelto di festeggiarti in un altro modo, parlando di te, di quello che mi hai lasciato, qui tra queste pagine, nate con l’intento di raccontare la Bellezza di vite comuni, semplici ma mai banali. E lo faccio, riportando la lettera scritta un anno fa per i tuoi 80 anni, insieme al ricordo che ti ho dedicato quando te ne sei andato via. Buon Compleanno, papà Marcello!
23 marzo 2022

Oggi è il tuo compleanno. 80 anni, papà. Che bel numero! Rotondo. Mi raccomando, festeggiati bene lì dove sei ora, brinda alla tua vita semplice, difficile ma sempre onesta e di gran valore. A volte mi manchi proprio tanto: mi mancano le chiacchierate, le discussioni sui fatti di cronaca, sulla politica, sullo sport. In questi giorni di atrocità, mi chiedo spesso cosa avresti pensato, cosa avresti detto. Poi ci penso e mi dico “certo che lo so: avresti condannato un abominio simile senza se e senza ma. Tu eri un uomo di Pace”. Mi manca il futuro che non abbiamo più insieme – te ne sei andato troppo presto, lasciandomi a fantasticare su cosa ti avrei scritto per i tuoi splendidi 80 anni! Buon Compleanno, papà. Tua figlia Rita
Le cose che non ti ho detto
[Grazie a tutte e a tutti voi per essere qui a salutare mio padre. Grazie agli amici venuti da lontano a testimoniarci il loro affetto. A nome mio e di mia madre, un ringraziamento speciale alle zie e agli zii e ai cugini che non ci hanno mai lasciate sole. Grazie. Un pensiero speciale va a mia sorella Patrizia, che sta attraversando il mondo con la sua famiglia e che sarà qui solo stasera]

Capita che un evento del tutto inatteso, come la morte improvvisa di tuo padre, bruci in un istante solo castelli di parole perfette nella loro autenticità mai pronunciata, consegnandole per sempre al regno delle possibilità negate. Le parole non dette diventano allora pietre, e come pietre si depositano sul fondo dei pensieri, degli sguardi e dei gesti inespressi, delle azioni non agite perché in attesa del momento buono per farlo, del momento in cui “tanto prima o poi capiterà l’occasione e allora ti spiegherò perché quella volta ti ho detto che..”. Poi d’un tratto accade qualcosa e quell’occasione alla fine non arriva più. E resti sospesa in uno stato di veglia apparente, divisa tra rabbia e dolore, incredulità e senso di perdita. Ripensi allora all’ultimo ricordo che hai di tuo padre e scopri che è un banale “Ciao, ci vediamo tra quindici giorni”, mentre come sempre ti lascia alla stazione a prendere un treno che ti porta dai tuoi desideri, certa che tra quindici giorni lo ritroverai lì, come sempre, ad aspettarti all’arrivo del treno, con le chiavi dell’auto in mano e gli occhi che si illuminano quando ti scorge tra i tanti che arrivano come te. Invece, una telefonata, nel giorno che santifica il tuo nome, ti dice che quegli occhi si sono spenti per sempre e che non li ritroverai più all’arrivo in stazione. E quella che fino a due giorni prima ti sembrava una certezza granitica, si è tramutata in una duna di sabbia, che muta col mutare del vento. Uno ad uno quei granelli di sabbia si stanno accumulando da qualche parte in una nuova forma. Intanto, alla rinfusa, immagini-ricordo si susseguono vorticosamente e vivide mi si parano davanti come un film, le cose che facevamo insieme…
Le gare della Ferrari, la Nazionale ai mondiali, le Olimpiadi, i discorsi-scontri sulla politica. Le gare a chi indovinava per primo i giochi a quiz, a chi la voleva sempre vinta. Il tuo orto, i tuoi cani, le tue parole crociate. Il bicchiere di vino, la birretta, il goccetto di grappa che a tavola, in giardino o davanti a Ballarò ci facevano compagnia. Momenti di vita semplice, genuina, come i pranzi della domenica, che mamma preparava con cura, e che settimana dopo settimana erano il nostro rito condiviso e imprescindibile. E sempre, dopo aver consumato il pasto, dopo aver commentato i fatti della settimana, dopo il caffè, ci salutavamo alla stazione con l’arrivederci alla prossima domenica.
Mentre scrivo queste poche righe, tu giaci silente e inanimato nella stanza accanto. Il volto sereno è quello di chi ha ritrovato la pace, sembra il sonno di un innocente. Tutt’intorno a te galleggiano sospesi i ricordi di altri, pronunciati sommessamente o strozzati da un groppo alla gola, con gli occhi lucidi di stupore incredulo. In tanti t’han voluto bene. Io osservo tutto, registro tutto e la loro ammirazione per te mi rende felice, e mi restituisce altri granelli di te.
Eri un uomo semplice. Eri un uomo buono. Eri e resterai un piccolo grande uomo. Ciao, papà. [Cisterna, 25/05/2013]