“Non siamo fatti per chiunque, siamo fatti per chi è parte di noi e del nostro cammino. Ognuno di noi è una poesia fatta per chi la sa apprezzare, non per chiunque.”

“Ciao signora, vuoi comprare un bel libro? L’ha scritto la mia mamma!” Mi aggiro tra gli stand degli espositori all’interno della Nuvola di Fuksas, durante l’ultima edizione di Più libri più liberi a Roma, e a un tratto la voce argentina e gioiosa di una bella bambina attira la mia attenzione, distogliendomi dalla mia ricerca. Mi avvicino e con un sorriso le chiedo: “Ciao, sai dirmi anche di cosa parla, il libro della tua mamma?”, “Sì”, risponde, “parla di una mamma e del suo bambino e delle cose che le sono capitate”. La mamma, nonché l’autrice del libro, è a pochi passi da noi e osserva la scena senza intervenire: è bello quello vede. E’ domenica. C’è molta gente e tanta voglia di Cultura, alla Nuvola. Prima di proseguire nella mia ricerca, scambio due battute con l’autrice, alla quale chiedo se è la narrazione del suo vissuto. Mi risponde che sì, in parte lo è: “E’ una storia molto forte.. vera e molto forte”, dice – “Sono le storie di cinque donne che hanno avuto a che fare con lo stesso uomo, e che diventano una”. Sembra interessante ma sul momento non lo compro. Saluto madre e figlia (“la tua bambina ha la stoffa della promoter”, le dico mentre mi allontano) e riprendo la mia visita tra i vari stand.



Intanto il tempo passa. Vedo cose belle e interessanti; scambio parole e informazioni utili con questo o quell’editore; dribblo, con garbata fermezza, sul resoconto romanzato della poetessa sopravvissuta al virus infernale (“Grazie, oggi no”). Finché, di nuovo, non vengo distratta dalla stessa voce di bambina di poco prima. Stavolta mi chiama per nome! Mi avvicino: “Come sai il mio nome?”, le chiedo curiosa; “E’ scritto qui”, e con l’indice indica il pass che ho al collo, Acuta osservatrice. Non so come né perché, ma questo secondo incontro mi conferma la sensazione di familiarità, provata in precedenza: come quando incontri un’amica che non vedi da un po’. Così ci mettiamo a chiacchierare, io e Sara, mentre la bambina corre in cerca di un posto dove mangiare qualcosa prima di riprendere il treno per Trento. Sì, perché sono venute esclusivamente per quel giorno, per la presentazione del libro. Le saluto, augurando loro buon viaggio e buona fortuna (per le vendite del libro).
“Soprattutto, occorre un lavoro profondo da fare dentro alle persone. Serve una cura del pensiero, utile a lasciare spazio a pensieri migliori. Pensieri più buoni. Pensieri più elevati. Come quei pensieri che toccano il cielo, perché è da lì che arrivano”.

Alla fine lo ordino, il libro. Per giorni, continuo a pensare a quella bambina e a sua madre, senza un motivo conscio. Finché non mi decido. La forza di una madre di Sara Conci (Edizioni del Faro, 2021, pgg 232), non è un libro “bello”, in senso canonico. No. E’ un libro che hai voglia di leggere, però. Ed è estenuante. Fai fatica a leggerlo, ma non te ne puoi staccare: quando sei fuori, non vedi l’ora di tornare a casa per finirlo. Una dote da pochi. Stilisticamente presenta dei limiti: Conci costruisce la sua storia avvalendosi di una narratrice onniscente, non ben identificata (anche se parla in prima persona), che raccoglie la testimonianza della protagonista Minerva, la quale fornisce all’interlocutrice, resoconti dettagliati sulla sua vita con Tiziano (l’altro protagonista della storia), alternati a momenti di riflessioni genuine e intelligenti sul vivere, il pensare, l’amare – delle vere Gemme. In alcuni momenti, però, i confini tra la narratrice e Minerva si confondono e, in più di un passaggio, devi tornare un po’ indietro per recuperare il filo e capire chi dice cosa. Le lacune finiscono qui.
La forza di una madre è la cronaca di un femminicidio scampato. Anzi, di cinque. E’ una storia vera: è la narrazione di una cronaca giudiziaria, e del suo iter burocratico, perpetratosi per sette lunghi anni, che ha coinvolto altre donne, oltre alla protagonista, tutte vittime della violenza del medesimo uomo. Minerva è l’unica, delle cinque, ad avere avuto un figlio dall’uomo, ed è per proteggere il suo bambino da lui che trova la forza, la determinazione e il coraggio di non arrendersi e di andare fino in fondo. Fin qui niente di nuovo, dirai: quante sono le storie di violenze subite e raccontate da donne che ce l’hanno fatta? Tante, è vero. Infatti, il soggetto non è originale. L’originalità di questa storia, che ne fa al tempo stesso la sua forza narrativa, risiede nella scelta dell’autrice di riprodurre fedelmente (salvo i nomi dei protagonisti) gli atti giudiziari (esposti, denunce) e le trascrizioni, parola per parola e senza censure, di sms, messaggi vocali, messaggi FB intrisi di insulti, parolacce, minacce di morte che Tiziano mandava alle sue donne che, a suo dire, tanto amava. E poi i codici, i decreti legge, i comma e successivi emendamenti, e tutto il burocratese in uso in queste circostanze, che va avanti per pagine e pagine. Parole e fatti narrati vengono ripetuti sempre uguali a sé stessi, fino alla nausea. Per un momento chiudi libro e occhi e dici: “Come ha fatto? Quando finisce ‘sto calvario?” Ma poi, lo riapri, perché vuoi vedere la fine, perché sei nei panni di Minerva e poi di Michela e di Serena e delle altre, e “vivi” la loro vicenda disumanizzante e disumanizzata e ti senti stanca. Stanca veramente. Allora capisci cosa si prova. Perché, oltre alla violenza fisica e psicologica subita da chi dice di amarti, ne subisci un’altra, più sottile e per questo più dolorosa: quella della lentezza di chi dovrebbe tutelarti, “..poiché dietro i militari (si riferisce ai Carabinieri, n.d.r.) vi è la magistratura, la quale, ben si sa, si muove dietro alla burocrazia, con tempi indefiniti. A volte, lunghissimi. A volte, quando ormai è troppo tardi. Quando ormai c’è il cadavere” (p.54). Già.

“Nella vita ci sono diversi momenti: quelli per sognare, quelli per lottare, quelli per coltivare speranze, e quelli per vedere i propri sogni realizzati. Ci vogliono tempo e tanta pazienza, prima di vedere realizzati i desideri più reconditi”.
Ho desiderato leggere questo libro e sono contenta di averlo fatto. La sua “bellezza” sta nei pensieri della protagonista, che Conci alterna sapientemente ai crudi fatti narrati, e che sono delle parentesi arcobaleno di saggezza e di fiducia nella vita. Nonostante le brutture che vive, Minerva conserva intatta la gioia e la voglia di vivere e di regalare al figlio una visione migliore del mondo. Questi momenti sono delle aree di sosta, che dànno equilibrio al testo e consentono al lettore di tirare il fiato dalla estenuante maratona emotivo-burocratica cui la vicenda lo sottopone. La forza di una madre non pretende di essere un capolavoro. E’ una gemma, un libro prezioso e giusto. Sì. E’ scritto con rispetto e semplicità: una semplicità disarmante come lo sono i sentimenti della protagonista, che non teme di mettersi a nudo, vestita solo della sua Verità. E’ scritto con umiltà ma è denso di conoscenza. E’ essenziale ma granitico: ha in sé la forza dolomitica del territorio natio della protagonista/autrice. In una parola: è “azzeccato”. Anche l’immagine di copertina, un cuore di foglia su una lastra di marmo, si rivela azzeccata: una scelta efficace ed emblematica per racchiudere una storia di Forza e di Verità.
La forza di una madre, di Sara Conci, Edizioni del Faro, 2021, pgg. 232, 14€